Personally, I have to record three falls into crevasses, of which two alone and one after the other (returning from Becca Moncorvé after climbing even Gran Paradiso, May 19th, 1968); within an hour the sun had completely changed the situation of the glacier to return to the Normal Route, after eating alone at the top. In the first drop luck meant that in a very narrow crevasse the front points of one my crampon from the sun pierces the wall of ice below; a small
"sidelong" showed me the ugly: an endless abyss with the first 30/40 metres of ice greenish, many color bluish and finally a black completely unfathomable. Stuck at the shoulders with my little Millet and arms outstretched, as indicated learned, waiting for the moment and the courage to pull the anchor from which depended providential my life; after a long time of reflection and before that forces me to abandon , with a
"flicker of kidney" then made the plunge out. I was saved! But I was a soccer goalie and I did not even nineteen. The frenzy came over me, his heart pounding in his temples and began to run; no more than ten steps and I slipped with the left leg into another crevasse. Even this black and unfathomable. Extracted with consummate prudence limb I lay down, I'm not ashamed to say it, to
"bear skin" crawling like a worm toward the track of the "Granpa". No one could see me and hear me even as a hump twenty yards separated me from them. So I learned that the glacier is not a dead thing and stops, but
"breathes" and moves changing appearance from day to day and from hour to hour. And we also learned that the same is better not to venture out alone . But not enough. The other time (this unbelievable) in the crossing of the Apostles of July 22th, 1984 from Gran San Pietro Tower to that of Sant'Orso (Bear) at the Coupé of Money. When you are under the Sant'Andrea, to avoid a rocky pinnacle, which fell to the West to the edge of the glacier that dates back almost to the top of the rock. I slipped to 7/8 meters between this and that in a
"letterboxed", curvy, deep calling to slip under the glacier, but "Lupetto" and Maurizio immediately arrested the fall with the rope, thanks to the friction of the rope and my body on the rock. It was not easy to get out, but I did it with patience. This episode taught me that in the case of free-fall into a crevasse brake did not work so quickly, at the expense of dragging the other; also that pops out is not simple matter, even with a foothold. Let alone in the empty ... So I decided to not fall more into a crevasse, and it was so. They are not well open crevasses and large ones by which we must be wary (but you never know ...), take rather in those apparentementi invisible, especially with fresh snow. Do not go it alone, hold the rope in maximum tension and always be attentive and responsive to any glacier. This is the advice I can give, pointing out that those who have not tried this experience can hardly understand. Word of someone who is stuck in the hole three times and threatened dozens of other times. It is not always good ...
I never risked a lot with the seracs, but conservatively I have always tried, where possible, to avoid them by changing the route. Are strange beasts and I do not like the descent from the Bossons with tutei those crossings under the large towers of ice. Then maybe go quietly upwards (enough) for the Mount Blanc of Tacul where there have been many collapses, but inconsistencies of life. Right from the Top of the Tacul in the early morning of August 15th, 1973, a storm with winds of more than 80 km per hour, I saw a big serac fall off on Brenva, which appeared here in profile in a dark greenish color dark dawn and muddy. He went down like a Cyclops, fearful, and swept three Japanese to whom I had given the day before of the apricots because they had more to eat. I learned from the newspapers the next day, but already at that moment I had come more than a suspicion, since the three of us had declared their intentions. Do not trust considerations on the sun and relative temperatures or exposure: the collapsing seracs at night, with the cold and, above all, due to the wind. When at their own terms; I know most of you do not say.
Personalmente debbo registrare tre cadute nei crepacci delle quali due da solo ed una di seguito all'altra (ritornando dalla Becca di Moncorvé dopo aver salito anche il Gran Paradiso, il 19 Maggio del 1968); nel giro d'un'ora il sole aveva cambiato completamente la situazione del ghiacciaio per ritornare alla Via Normale, dopo aver mangiato solo in cima. Nella prima caduta la fortuna fece sì che in una crepaccia molto stretta le punte anteriori d'un mio rampone si conficcassero da sole nel muro di ghiaccio sottostante; una piccola "sbirciata" mi mostrò l'orrendo: una voragine infinita con i primi 30/40 metri di ghiaccio verdastro, altrettanti di colore bluastro ed infine un nero del tutto insondabile. Incastrato a livello delle spalle con il mio piccolo Millet e le braccia allargate, come da indicazioni appresa, attendevo il momento ed il coraggio di sfilare quell'ancoraggio provvidenziale dal quale dipendeva la mia vita; dopo un lungo momento di riflessione, e prima che le forze m'abbandonassero, con un "guizzo di reni" effettuai il tuffo fuori. Ero salvo! Ma ero un portiere di calcio e non avevo neppur diciannove anni. La frenesia m'invase, mentre il cuore batteva forte nelle tempie ed iniziai a correre; non più di dieci passi e mi riinfilai con la gamba sinistra in un'altra crepa. Anche questa nera ed insondabile. Estratto con somma prudenza l'arto mi distesi, non mi vergogno a dirlo, a "pelle d'orso" strisciando come un verme verso la traccia del "Granpa". Nessuno poteva vedermi e neppur udirmi, poiché una gobba di ghiaccio d'una ventina di metri mi separava da queste. Così imparai che il ghiacciaio non é cosa morta e ferma, bensì "respira" e si muove cambiando aspetto di giorno in giorno e d'ora in ora. Ed inoltre appresi che sui medesimi da soli é meglio non avventurarsi. Ma non basta. L'altra volta (questa incredibile) nella traversata degli Apostoli del 22 Luglio 1984 dalla Torre del Gran San Pietro a quella di Sant'Orso al Coupé de Money. Giunti sotto i Sant'Andrea, per evitare un pinnacolo roccioso, scesi ad Ovest fino al bordo del ghiacciaio che risale insin quasi alla sommità della roccia. Mi infilai per 7/8 metri tra questo e quella in una "buca da lettere", sinuosa e profonda che invitava a scivolar sotto al ghiacciaio, ma "Lupetto" e Maurizio arrestarono immediatamente la caduta con la corda, grazie anche all'attrito della corda e del mio corpo sulla roccia. Non fu facile uscirne, ma con pazienza lo feci. Quest'episodio m'insegnò che in caso di caduta libera in un crepaccio il freno non funzionava così repentinamente, a scapito di trascinare anche gli altri; inoltre che tornare fuori non é affatto cosa semplice, anche con un punto di appoggio. Figuriamoci nel vuoto ... Così decisi di non cadere più in una crepaccia, e sì fù. Non sono le crepacce bene aperte e larghe quelle dalle quali bisogna diffidare (però non si sà mai ...), piuttosto in quelle apparentementi invisibili, soprattutto con neve fresca. Non andar da soli, tenere la corda in massima tensione ed essere sempre attenti e reattivi su qualsiasi ghiacciaio. Questo il consiglio che posso dare, facendo presente che chi non ha provato questa esperienza difficilmente può comprendere. Parola d'uno che s'é infilato tre volte nel buco ed ha rischiato decine di altre volte. Non sempre va bene ...
Non ho mai rischiato molto con i seracchi, ma prudentemente ho sempre cercato, dove possibile, di scansarli cambiando il percorso. Son brutte bestie e non mi piace la discesa dai Bossons con tutti quei traversi sotto le grandi torri di ghiaccio. Poi magari vado sù tranquillamente (abbastanza) per il Mont Blanc de Tacul dove sono avvenuti molti crolli, ma son le incogruenze della vita. Proprio dalla Cima del Tacul nella prima mattina del 15 Agosto del 1973, in una bufera con vento ad oltre 80 Km. all'ora, ho visto staccarsi un grande seracco sulla Brenva, che da qui appariva profilarsi color verde marcio in un alba scura e limacciosa. Scese ciclopicanente tremendo e travolse tre giapponesi ai quali il giorno prima avevo dato delle albicocche, perché non avevano più da mangiare. Lo appresi dai giornali del giorno appresso, ma già in quel frangente m'era venuto più d'un sospetto poiché i tre ci avevano dichiarato le loro intenzioni. Non fidatevi delle considerazioni sul sole e relative temperature o dell'esposizione: i seracchi crollano anche di notte, col freddo e, soprattutto, causa il vento. Quando a loro più aggrada; di più non vi sò dir.
There are not subjective or objective ... are avalanches
They say that from Mount Blanc, Face Brenva fall avalanche snow dust which spread out for 2 km and rise over 1000 metres. They are the seracs that smashing downstream crumble turning into steam like clouds. But what are these avalanches? Snow masses that are simply attracted by the force of gravity, glide down the valley. Without looking at anyone anything, everything overwhelm. Sometimes, even the men. So are objective dangers? Sometimes yes, sometimes not, because in a certain sense are predictable. In fact, there is also a service through which a gradation Avalanche Forecast indicates the danger to exist. All they see it, but not all listen to him, so that every year there are many victims. Even in seemingly innocuous places. I want to tell you this: it was December 28th, 1980 when we decide, in five, to go for the winter at Mount Emilius
(3559m), or the Punta Rossa
(3400m). How to Emilius or to Punta Rossa? Here or there, it does not matter. At first we were already in January 5th, 1975 starting by Gimillan, the second ever; rather it is uphill in the winter once in 1939 by Dr. "Ansel" Falcoz, which then fell to Cogne by ski. For us it does not matter: one or the other, just to break the monotony of winter that is pressing upon us. But there is a problem. To enter the Valley of Arbolle must overcome the Chamolé in the presence of snow high enough, as with the
"Forks Caudine"; otherwise rise from Comboé for the bottleneck, which is even worse. Okay, the first solution. From the lake to avoid the loaded slopes we carry to the left on the Costa Chamolé and from this we cross the pass
(2641m). Here, however, the joint survey with the ax gives us the first response: 3cm. crust, 50 cm. of powdery and under ice
"verglass". What to do? We did not even ski and snowshoes. We need to cross floor plan under the Testa Nera (Black Head), hoping not to cut the avalanche and get it started. We know that it is quite possible. I decide that I only start and Roby (also Camillo), leaving the rest of the hill. If it happens pull us out. It happens. While navigating high against the rocks (in the summer here the trail descends to the shelter, feasible even by children), the boundary between the swollen and steep snow slope and the same, the danger is quite high. A
"Crack" sudden me confirmation. The crust is broken and the layer of flour envelops us like a billow sea impetuously. Then the total darkness, as if we do not exist. Swim, float, as indicated by the manual . All lies! Down there do not exist any more. How long I can not say , but certainly for 100 yards when the avalanche it " spits " out in parallel as two dolphins head forward. Position 45°. I look at Camillo 's eyes out and the teeth to Dracula. My brain, I laugh. At least mentally.
"Beautiful you were", I reply in the future. Maybe, maybe I was even worse. Always plasticity of the brain. But it is a moment for us rewinds bringing down another 100. Spits out there , with his feet stuck between the rocks and snow, in which we are engaged and locked up behind him. I have been " sighted " because the others arrive and we extract. Loud and incredibly no semblance of snow in the respiratory tract. For the rest, despite the clothing by divers we are everywhere, just everywhere. After the reorganization, invitation to continue receiving in return only rude gestures and profanity. We go down to Comboé for the bottleneck ; the thermometer registers -17° and wine on the roof of the hut, ice inside the bottle. Luckily they said that avalanches come down because of the heat ...
But how come? Simple, as in the comics. One gets rolling a ball of snow and it enlarges the image as a
"boule de neige" which gradually larger and larger, which then breaks down the snowy slope slips downstairs widening. It sounds like a joke, but it is absolutely true, as happened to us in 1969 on the North Wall Paramont 800 meters below your feet. We managed to escape laterally for a moment, breath but I, I was out by now, I hold. While the avalanche was preparing for the big jump on the serac below. First, to get the groove on the side of the big serac had timed the continuous avalanches that they walked in precise rhythm and relentless: 10/12 seconds to climb those 40 meters (just a pitch) at breakneck speed; and there were four. Two at a time, who goes first? Other times they are skiers who cut the slope and pulled him, or worse, pulling it on to others. Ouch!, Incidentally this is not a scientific treatise, but better because it comes from real experiences and lived.
Dicon che dal Monte Bianco, Versante Brenva, scendano delle valanghe la polvere di neve delle quali si allarga per 2 Km. ed si innalza oltre 1000 metri. Sono i seracchi che fracassandosi verso valle si sbriciolano vaporizzadosi come nuvole. Ma cosa sono ste valanghe? Semplicemente sono masse nevose che, attratte dalla forza di gravità, scivolano verso valle. Senza guardar in faccia niente e nessuno, tutto travolgono. A volte, anche gli uomini. Allora son pericoli oggettivi? Delle volte sì, altre no, perché in un certo senso sono prevedibili. Difatti esiste anche un Servizio di Previsione Valanghe che tramite una gradazione segnala la pericolosità sussistente. Tutti lo vedono, ma non tutti l'ascoltano, di modo che ogni anno si registran numerose vittime. Anche in luoghi apparentemente innocui. Di questo vi voglio raccontare: era il 28 Dicembre 1980 quando decidiamo, in cinque, di andare a fare l'invernale al Monte Emilius (3559 m), oppure alla Punta Rossa (3400 m). Come all'Emilius od alla Punta Rossa? Di qua o di là, non ha importanza. Al primo siam già stati il 5 Gennaio 1975 partendo da Gimillan, alla seconda mai; anzi risulta salita in inverno una sola volta nel 1939 dal Dottor "Ansel" Falcoz, con discesa a Cogne tramite sci. Per noi non ha importanza: l'uno o l'altra, pur di romper la monotonia dell'inverno incalzante alle porte. Però esiste un problemino. Per entrar nel Vallone di Arbolle bisogna superare il Colle di Chamolé in presenza di neve abbastanza alta, come con le "Forche Caudine"; altrimenti salir dal Comboé per la strettoia, il che par ancor peggio. Va bene la prima soluzione. Dal lago per evitare i pendii carichi di neve ci portiamo a sinistra sulla Costa di Chamolé e da questa attraversiamo al colle (2641 m). Quivi giunti però il sondaggio con la piccozza ci dà il primo responso: 3 cm. di crosta, 50 cm. di farinosa ed al di sotto ghiaccio vivo. Che fare? Non abbiamo sci e neppure racchette da neve. Dobbiamo attraversare pian piano sotto la Testa Nera, sperando di non tagliare la valanga e farla partire. Sappiamo che risulta alquanto possibile. Decido che iniziamo solo io ed il Roby (Camillo), lasciando gli altri al colle. Se succede ci tiran fuori. Succede. Pur traversando in alto contro le rocce (in estate qui scende la mulattiera per il rifugio, fattibile anche dai bambini), al limite tra il gonfio e ripido pendio di neve e le medesime, il pericolo risulta alquanto elevato. Un "Crack" improvviso me lo conferma. La crosta si spezza e lo strato di farina ci avvolge impetuosamente come cavallone marino. Poi il buio totale, come se non esistessimo. Nuotare, galleggiare, come indicano i manuali. Tutte balle! Là sotto non esisti più. Per quanto tempo non lo posso dire, ma sicuramente per 100 metri quando la valanga ci "sputa" fuori in parallelo come due delfini a testa in avanti. Posizione 45° circa. Guardo Camillo: ha gli occhi fuori ed i denti alla Dracula. Risorse del cervello, mi vien da ridere. Almeno mentalmente. "Bello tu eri", mi replicherà in futuro. Può darsi, magari ero anche peggio. Plasticità sempre del cervello. Ma si tratta d'un attimo perché ci riavvolge portandoci giù per altri 100. Ci sputa fuori, incastrati con i piedi tra i massi e la neve, nella quale siamo immersi e bloccati fino alle spalle. Sono stato "previdente", perché arrivano gli altri e ci estraggono. Vivi ed incredibilmente senza parvenza di neve nelle vie respiratorie. Per il resto, nonostante il vestiario da palombari, ce l'abbiamo dovunque, ma proprio dappertutto. Dopo il riassetto, invito a proseguire ricevendo in cambio solo gestacci e parolacce. Scendiamo al Comboé per la strettoia; il termometro registra -17° ed il vino, sul tetto della baita, ghiaccia dentro la borraccia. Meno male che dicevan che le valanghe scendono a causa del caldo ... Ma come nascon? Semplice, come nei fumetti. Uno fà rotolar 'na pallina di neve e questa si ingrandisce come una "boule de neige" che, via via ingrandendosi, rompe il pendio nevoso poi scivolando dabbasso ed allargandosi. Sembra una barzelletta, ma risulta assolutamente vero, come successe a noi nel 1969 sulla Parete Nord del Paramont, con 800 metri sotto ai piedi. Riuscimmo a scappare lateralmente per un attimo, per un soffio mentre io, ormai fuori, riuscii a trattenere Ila. Mentre la slavina si preparava al gran salto sul seracco sottostante. Prima, per salire il canalino a lato del grande seracco avevamo cronometrato le continue slavine che lo percorrevano a ritmo preciso ed implacabile: 10/12 secondi per salire a perdifiato quei 40 metri (giust'un tiro); ed eravamo in quattro. Due alla volta, chi va per primo? Altre son gli sciatori che taglian pendio tirandosela addosso o, peggio, tirandola sopra ad altri. Ohi!, daltronde questo non é trattato scientifico, ma meglio perché proviene da esperienze vere e vissute.
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